Criminalità e affarismo sono la principale zavorra per lo sviluppo meridionale: deprimono l'etica e la legalità collettiva, distorcono i mercati creando monopoli di fatto, bloccano l'iniziative di chi agisce nella legalità. Fondamentale, dunque, sottrarre ai mafiosi i patrimoni illegalmente accumulati, rinnovare la classe dirigente locale e sensibilizzare la popolazione al rispetto delle regole. Giunge a queste conclusioni il rapporto del Censis "Il condizionamento delle mafie sull'economia, la società e le istituzioni del Mezzogiorno", realizzato su incarico della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia. Fiumi di denaro sporco inquinano l'economia, insidiano la vita pubblica e infangano la reputazione italiana nel mondo. Sempre più aggressivi racket e usura.

Sicilia, Calabria, Puglia e Campania sono le regioni dove le mafie sono più presenti, ma dove il Pil pro capite è più lontano dal resto del Paese. Con il Pil del Sud a 42-44 punti percentuali di distanza dal Centro-Nord. Un Mezzogiorno che arranca, con una dotazione infrastrutturale insufficiente, una imprenditoria frammentata e spesso intimidita, classi dirigenti inadeguate e spesso colluse con le mafie. «In un simile contesto la criminalità organizzata – sottolinea Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia – ha avuto un gioco facile: ha invaso l'economia, è penetrata nelle amministrazioni pubbliche e ne ha influenzato le decisioni». Nell'assalto ai fondi pubblici, ha sottolineato Pisanu, «si è rafforzata quella borghesia mafiosa, quella zona grigia che all'occorrenza manovra anche il braccio militare, ma normalmente collega il braccio politico-affaristico col mondo dell'economia, trasformando gradualmente "l'organizzazione criminale" vera propria in un "sistema criminale" integrato nella società civile». E Pisanu avverte sul rischio «che il federalismo fiscale si possa trasformare in un autentico boomerang se non trovasse nel Sud istituzioni trasparenti e capaci».

Ma da almeno quarant'anni le mafie hanno risalito lo Stivale, si sono insediate al Centro-Nord e hanno esteso le loro attività in Europa e nel mondo. Crescendo nel Sud Italia così tanto da costituire la principale causa del mancato sviluppo di gran parte del Sud. Più silenziose rispetto al passato, ma concentrate su affari e politica. Il divario Nord-Sud invece di attenuarsi, aumenta, la distanza economico-sociale si fa sempre più ampia. E senza Sud non riparte neppure il Nord.

Nelle quattro regioni più a rischio (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) sono stati commessi la metà dei 26.900 reati di tipo mafioso denunciati in Italia nel 2007. I comuni del Sud in cui sono presenti sodalizi criminali sono un quarto, 406 su 1.608. Almeno tredici milioni di italiani, pari al 22% della popolazione, vivono in quei comuni del Sud, 610 in tutto, che hanno registrato infiltrazioni mafiose. In 396 municipi sono presenti beni confiscati alle organizzazioni criminali, 25 sono stati sciolti negli ultimi 3 anni (8 nella provincia di Napoli, 4 in quella di Palermo, 3 sia a Reggio Calabria che a Vibo Valentia). Condizione preliminare per lo sviluppo è la sicurezza. «La repressione di ogni attività mafiosa è oggi il primo, indispensabile atto - ha concluso il presidente Pisanu - per risolvere la Questione meridionale e sanare quella che Aldo Moro chiamava "la storica ingiustizia"». Ma l'antimafia indiretta della repressione, come ha scritto anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, e coime ribadisce il presidente Pisanu, «non andrà molto lontano se non sarà accompagnata dall'antimafia indiretta delle buone regole di mercato, della concorrenza amministrativa e della trasparenza politica».

 

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